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ARTVERONA 2017

i8 Spazi indipendenti - Il Viaggio 

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SC17 / Around me

Il progetto che viene proposto in occasione di “i8”, nasce da relazioni con artisti che ho stabilito nel tempo, artisti del territorio che hanno frequentato SC17 nel corso di questi anni e che partecipano attivamente allo sviluppo dei progetti che via via contribuiscono a quella che può considerarsi un utopia: stabilire un legame reale con il territorio partendo dalla cellula del mio studio come momento di interrogazione su ciò che è importante per la città, ovvero creare qualcosa di permanente e in continua crescita. Ogni artista che ho invitato ha una propria storia e una propria ricerca specifica ma che in alcuni tratti s'interseca con quell'utopia che caratterizza il mio modo di procedere in relazione alla città e i suoi aspetti infiniti da indagare e illuminare.  

Chiara Bettazzi

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Chiara Bettazzi Diari urbani, libro fotografico 2015.

Partendo da un’archiviazione e una catalogazione delle strutture industriali ancora presenti compone un Diario di immagini tra passato e presente. Scattando foto dallo stesso punto di vista di sedici immagini in bianco e nero ritrovate; ha messo in evidenza i cambiamenti dovuti alla progressione del tempo sugli edifici e l'ambiente gravitante attorno. Questi Diari rappresentano l'esordio per una serie di studi dove l'artista, in un secondo tempo, ha dato vita ad una ricerca sul territorio coinvolgendo storici e architetti. Da questi studi è nato Industrial heritage map, archiviazione e mappatura di vecchie strutture industriali presenti sul territorio.

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Chiara Bettazzi Ikebana, improvvisazione su alcune terrecotte di Emanuele Becheri, piante, fiori, oggetti vari, 2017.

Ikebana è un lavoro di Chiara Bettazzi la quale durante i giorni della Fiera  interverrà con piante e fiori su alcune recenti terrecotte di Emanuele Becheri creando un ambiente sia  sul pavimento che sulle pareti . Questa installazione  ricorderà  in maniera trasfigurata un orto urbano ovvero un segmento della  pratica artistica che da anni la impegna nella riqualificazione dell'area ex industriale di Via Genova a Prato.

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Emanuele Becheri attraverso i suoi ultimi lavori approda alla scultura che realizza attraverso l’uso della terracotta. Compone forme portando al limite il rapporto tra l’astratto e il figurativo e rimanendo volutamente in bilico tra la scultura e l’oggetto di uso comune.

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Lorenzo Banci Monotipi, tecnica mista su carta magnani 2017  

Da sempre le sue immagini si sono concentrate su varie forme di paesaggio, indagando e privilegiando, attraverso la pittura, ma anche attraverso l'attività di scenografo, elementi del paesaggio architettonico che si è sviluppato fin dall'inizio secolo attraverso la rivoluzione industriale. La sua pittura nasce dalla ricerca ostinata sul territorio di quegli elementi del paesaggio che spesso sfuggono allo sguardo, dimenticati dal tempo.

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Paolo Meoni Nihil novum sub sole, stampa fotografica in bianco e nero 2017


In percorsi consueti punti di vista imprevisti mostrano visioni della nostra città e dei suoi sconfinamenti prospettici, Paolo Meoni evoca, attraverso trasfigurazioni luminose della lontananza una pura adesione alle vedute forme che incontra, riflessione lirica sul paesaggio e le sue metamorfosi.

Il suo lavoro racconta di terre sconfitte dalle barbarie edilizie e documenta un’ urbanizzazione sfuggente sempre più sconnessa e antiumanistica. Percorre da almeno dieci anni le periferie della propria città con la macchina fotografica sempre a disposizione dello sguardo. Da questi movimenti continui nascono i nuclei più importanti del lavoro dell'artista sempre dedito a mostrarci ciò che ci è familiare in maniera perturbante; come accade nell'ultimo lavoro che mostra per i8 attraverso un punto di vista inedito ci svela una città sconfinata che si arrampica in maniera scoordinata e meravigliosa sulle pendici delle colline che la cullano.

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Immaginiamoci esploratori, viaggiatori del tempo.

Immaginiamoci di imbatterci improvvisamente nella visione di un paesaggio perduto, rimasto sepolto, appunto, nel nostro immaginario … Eppure quella specie di cattedrale è lì da molto tempo, un lustro abbondante, forse un secolo! O più?

Sarà stato un carbonizzo, una gualchiera, o uno degli opifici così detti a ciclo completo che un tempo operavano numerosi sul territorio?

Molte Fabbriche sono ridotte a rudere, abbandonate da molti anni; sepolte dalla vegetazione che inesorabile tende a riappropriarsi dei suoi spazi originari Che strano, così ci appaiano ancor più integrate nell’insieme paesaggistico: ossute costruzioni dalle quali echeggiano ancora le voci o le urla di chi vi operava, miscelate al frastuono delle macchine, agli acri e mefitici odori delle lavorazioni che allora animavano con folle vivacità quei luoghi. La Città!

Certo, come esploratori, una fotografia ci restituirebbe nell’immediato l’insieme del paesaggio ma forse con un’istantanea ne cattureremmo soltanto la superficie portando con noi soltanto un ricordo di una “gita” particolare attraverso insoliti itinerari …

Prendiamoci invece il nostro tempo, tutto il tempo necessario per affondare i nostri passi nel terreno dei piazzali posti davanti alle Fabbriche, cominciamo a ricordare, a risentire, il traffico di mezzi e di merci che gli attraversavano, guardiamo anche il “piccolo”, i particolari, i dettagli che compongono la grande struttura, giriamogli intorno, percorriamo il periplo di queste isole che sembrano adesso, proprio come i nostri passi, sprofondare nel suolo , oppure, improvvisamente tornare ad erigersi sotto al nostro sguardo ancor più maestose di allora. Testimonianze di sagge Imprese.

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Oggi sembra di trovarsi davanti ad una scultura più che ad una struttura architettonica: lo sgretolarsi del cemento scopre i ferri che lo armavano, gli intonaci si gonfiano e cadono polverizzati svelandoci la muratura, la “muscolatura” in mattoni o pietra o spesso, un mix dei due elementi, che come un corpo spellato mostra la sottostante textur e la sua ricchezza pittorica…. I grandi finestroni rettangolari in ferro suddivisi a loro volta in tanti rettangoli più piccoli sembrano spartiti ritmicamente dall’ alternanza di vetri che hanno resistito e di vetri mancanti, infranti. Ad osservargli meglio alcuni finestroni sembrano tanti occhi, sembrano sguardi che come in uno scambio reciproco osservano Noi che scrutiamo il loro essere…. Ancora qualche ciminiera resiste alla gravità, alle intemperie andando a completare il complesso della fabbrica, l’elemento verticale nella dinamica compositiva dell’intera forma…

…Un profondo respiro sulla soglia del grande ingresso ed entriamo.

Entriamo quasi fossimo in apnea, sospesi nel grande corpo, nel ventre di una balena arenata. Lo sguardo ruota istintivamente a 360 gradi e poi, incerti dei nostri passi cominciamo a percorrere la navata centrale, si, perché la sensazione che si ha è proprio quella di violare un luogo sacro, ma la curiosità di un esploratore è forte e allora continuiamo rispettosi a percorrere il dedalo di spazi che via via si celano al cospetto del nostro stupore.

Da qualche parte c’è stato un crollo della copertura, le macerie sono raccolte in un cumulo dove qualche specie di erba selvatica è riuscita a crescere grazie anche alla luce che passa dai lucernai delle coperture fonte di luce ideale per quelle che erano le necessità di chi operava alle varie fasi della lavorazione tessile

Quindi c’è, anche se di altra origine, oggi come un tempo,uno scambio tra interno ed esterno della Fabbrica?

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Evidentemente si, per esempio, una curiosa riflessione sulla superficie dei finestroni osservati poco prima dall’esterno ( quegli occhi neri , spenti anche se ancora capaci di suggestionarci con il loro spettrale “sguardo”), visti ora dall’interno sembrano tornati ad una vivace luminosità data dalla retro illuminazione solare dell’ esterno , la quale ne amplifica tutta la loro ricchezza pittorica e del disegno: come fossero dei grandi light box ne sono evidenziate le incrinature dei vetri, lo sporco e le ragnatele stratificate su di essi, alcuni tralci secchi di vitalba ne percorrono arrampicandosi le superfici stagliandosi nel controluce come segni incisi, marcati fortemente da una matita nera, le varie tipologie di vetro filtrano diversamente la luce offrendoci vibrazioni e tonalità diverse della luce stessa, alcuni di quei vetri non ci sono più e proprio attraverso di essi si scorgono piccole porzioni di paesaggio esterno che diventano piccole pitture indipendenti ma allo stesso tempo sono tasselli facenti parte di una composizione più grande e articolata… Tutto questo mondo in una finestra di una Fabbrica abbandonata? Prima, quando la Fabbrica era in attività, si poteva di notte osservare dall’esterno l’esatto opposto, potremmo dire il rovescio della stessa medaglia; quando la luce artificiale del turno di notte illuminava le vetrate di vibranti nuances come sul pelo dell’ acqua si riflette il cielo e le brezze ne increspano lo specchio.

Il nostro viaggio continua all’interno della ex fabbrica tra oscure zone d’ombra scalfite là, da tagli di luce accecante, altrove, invase da una vellutata luce diffusa che come polvere decanta lentamente nel corso del tempo, si deposita su macchinari rimasti immobili, ancorati al pavimento quasi fossero in attesa di tornare a scandire la vita col loro infernale ritmo.

 

Lorenzo Banci 

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